Storia del CAI, Storia di una passione

Parlare di Claudio Abbado per me significa parlare di una passione durata 45 anni e che non si spegnerà certo con la sua morte, avvenuta il 20 gennaio del 2014, lasciando un rimpianto che va al di là della perdita di un grandissimo direttore d’orchestra. Claudio, come voleva essere chiamato, semplicemente, era l’infaticabile organizzatore che ha fondato 7 orchestre (l’Orchestra giovanile Europea, la Chamber Orchestra of Europe, la Filarmonica della Scala, la Gustav Mahler Jugend Orchester, la Mahler Chamber Orchestra, la Lucerne Festival Orchestra e l’Orchestra Mozart), il musicista che ha lanciato giovani direttori come Harding e Dudamel, che ha rivoluzionato l’interpretazione di Mahler ma anche di Beethoven  e di Rossini, che ha proposto la musica moderna a un pubblico tradizionalista come quello della Scala negli anni ’70, che negli stessi anni ’70 ha portato la musica nelle fabbriche, pensando sempre che “se si vuole si può fare”! Dal 2000, dopo essere riemerso da un tumore che l’ha cambiato radicalmente nel fisico, ma anche nell’anima, le sue interpretazioni si sono fatte più intense e profonde, con una ricerca continua della “verità” nella musica, scavando e cercando nuovi aspetti, nuovi traguardi interpretativi anche per partiture arcinote, come è avvenuto per la memorabile esecuzione in una settimana delle 9 sinfonie e dei 5 concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven con i Berliner a Vienna e a Roma, proponendo un’interpretazione in cui venivano esaltati i lati “cameristici”, con le parti soliste che assumevano un rilievo nitido e brillante, senza rinunciare nello stesso tempo alle sonorità piene che la compagine dei Berliner Philharmoniker, una vera macchina da guerra per potenza sonora, permettevano di ottenere. E poi era la persona schiva e timida che amava dire di sé che in fin dei conti si sentiva niente più che un giardiniere. La passione per la natura e le piante l’ha sempre accompagnato, dalla realizzazione di un bellissimo giardino pieno di piante tipiche della macchia mediterranea attorno alla sua casa di Alghero, di cui era molto fiero, alle piante sulle terrazze delle sue varie case a Milano, Vienna, Berlino, Bologna, agli alberi che aveva chiesto come compenso per il suo ritorno alla Scala (progetto che era rimasto purtroppo lettera morta, ma che l’amico Renzo Piano si è impegnato a riprendere in mano).

I ricordi si affastellano, ora che non lo sentiremo mai più dal vivo, perché questa era la sua forza, quando si stabiliva una corrente magica fra gli esecutori e il pubblico, di modo che non era semplicemente un ascolto, ma un’esperienza di vita; si usciva dalle sue esecuzioni commossi, attoniti, pieni di bellezza e di meraviglia. E sempre si scopriva qualcosa di nuovo; Claudio Abbado non era mai uguale né agli altri né a se stesso: ci sono grandi artisti che però spesso si abbandonano al loro mestiere, a una routine di mestiere, seppure di altissimo livello. Con Abbado non succedeva mai: si capiva immediatamente quanto studio, quanta energia psicofisica doveva aver messo in quella determinata esecuzione, per arrivare in quel modo, intenso e rivelatore, alle nostre orecchie. Questo miracolo era particolarmente evidente nelle sue esecuzioni di opere di Mahler (sinfonie o lieder), che sono rimaste davvero indimenticabili.

Claudio Abbado è stato anche l’artista generoso che ha aiutato per vari anni quell’altro uomo eccezionale che è Antonio Abreu, l’ideatore di “El sistema”, una rete di orchestre giovanili che in Venezuela hanno sottratto alla criminalità e al disagio sociale tanti giovani e giovanissimi. Ora quel modello è stato esportato in vari altri Paesi, fra cui l’ Italia, ed è bello pensare che tanti piccoli musicisti in erba cresceranno grazie a nuclei di formazione come l’originale venezuelano e che altri talenti si svelino, come è successo per Dudamel e Matheuz che sono ora affermati direttori d’orchestra o per altri solisti che fanno parte adesso di prestigiose orchestre.

In tutto questo si inseriscono i ricordi personali, da quella mia prima coda da loggionista alla serata inaugurale della Scala il 7 dicembre 1968, quando Claudio Abbado sul podio avrebbe diretto Don Carlo di Verdi, con la contestazione del movimento studentesco che cresceva fuori sulla piazza. Striscioni antiborghesi, slogan scanditi ritmicamente e le famose uova lanciate alle signore in pelliccia che cercavano di guadagnare in fretta le entrate di accesso al teatro.

Era anche l’anno dei miei 18 anni, l’anno della mia totale conversione alla musica, una passione che non mi avrebbe più abbandonato; ma quella sera alla Scala fu l’inizio di un’altra passione nella passione: quella per un direttore d’orchestra che già quel 7 dicembre 1968 mi era sembrato eccezionalmente brillante e comunicativo: Claudio Abbado, appunto, divenuto da quell’anno e fino al 1986, direttore stabile del teatro milanese. Sono stati anni straordinari quelli della Scala di quei tempi, quando Claudio Abbado cedeva volentieri la bacchetta, anche per l’opera di apertura di stagione, a colleghi del calibro di Bernstein, Böhm, Kleiber, Maazel, Muti…

Gli spettacoli di quell’epoca d’oro erano frutto di una programmazione e di una direzione artistica intelligenti, che si avvalevano della collaborazione di personalità di grande levatura intellettuale e culturale, come, oltre ad Abbado, Paolo Grassi e Giorgio Strehler. C’era la consapevolezza che dietro agli spettacoli ci devono essere dei progetti e delle idee e i risultati di questa lungimiranza culturale non sono certo mancati.

Tutto questo giustifica perché si sia formato spontaneamente un gruppo di persone, ancor prima che Claudio Abbado lasciasse Milano nel 1986, che, intuendo il valore e l’importanza di una tale personalità musicale, capace di affascinare e incantare non solo per le sue qualità di direttore d’orchestra, avevano iniziato a seguirlo in alcune trasferte, a volte appena fuori porta, come era avvenuto per un concerto a Pavia, occasione alla  quale risale la nascita storica del CAI, il Club Abbadiani Itineranti. Era il 1981, e da allora sempre più numerosi appassionati si sarebbero ritrovati a seguire Claudio Abbado in giro per l’Italia e per l’Europa.

Poi vennero i tempi di Vienna (1986-1990), che ci hanno permesso di assaporare le gioie, non solo musicali, della capitale austriaca: infatti il ricordo di spettacoli come Lohengrin, Ballo in maschera, Don Carlos, Fierrabras, Nozze di Figaro, Viaggio a Reims, Kovancina, Elektra, Boris, su cui Abbado ritornava o che proponeva per la prima volta, si mescola per me, e per molti miei amici, a sapori e profumi diversi – la torta Sacher, i wurstel mangiati con voluttà al baracchino appena fuori della Staatsoper, le gite a Grinzing in cerca dei ristoranti tipici – e ai ricordi storico-letterari suscitati da quella che era un tempo la splendida capitale dell’impero austro-ungarico e fulcro della mittel-Europa. E poi gli anni di Berlino, quando Abbado è stato nominato direttore dei Berliner Philharmoniker, ai quali si è presentato dicendo semplicemente: “Sono Claudio, lavoreremo e faremo musica insieme”, mettendosi sullo stesso piano dei professori d’orchestra, l’esatto contrario del direttore-dittatore.

Nel frattempo, da queste prime trasferte, il gruppo dei fedeli del maestro si accresce, finché, alla metà degli anni ’90 matura la decisione di costituirsi in associazione, la cui data di nascita ufficiale è il 7 dicembre 1995. Volutamente viene mantenuto il nome che spiritosamente si erano dati i primi itineranti di tanti anni prima: Club Abbadiani Itineranti.

Da allora, dai 12 soci fondatori iniziali siamo passati ai più di 400 attuali, di 12 nazioni diverse, fra cui Giappone e Australia. Abbiamo girato il mondo inseguendo Claudio Abbado; le tappe più lunghe: Cuba, Caracas, New York e altre città americane e sud-americane, Tokyo e Pechino.

Ora tristemente l’itineranza non sarà più la stessa, ma l’associazione continuerà nel suo nome a sostenere le iniziative e i progetti che gli erano cari e a organizzare l’archivio di tutto il materiale che lo riguarda: abbiamo già completato l’elenco di tutti le esecuzioni del maestro dagli anni ’50 fino alla sua ultima, sul podio del magnifico auditorium del Festival di Lucerna il 26 agosto 2013; e si tratta di più di 3400 esecuzioni! Fra queste, forse quella che ci è più cara, è quella del 30 ottobre 2012, quando Claudio Abbado tornò a dirigere alla Scala, dopo quasi vent’anni di assenza; in programma la sesta sinfonia di Gustav Mahler, la Tragica, forse un presentimento, ma allora eravamo tutti in festa, su un tram che ha portato in giro per Milano il nostro entusiastico “Bentornato Claudio”!

Bentornato Claudio