2013/06: Die Zeit (Julia Spinola) 20/06/2013: Intervista a Claudio Abbado

 |  21 dicembre 2015
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Abbiamo deciso di tradurre l’intervista fatta a Claudio Abbado da Giulia Spinola nel giornale settimanale Die Zeit. Grazie mille al traduttore il nostro amico e socio Vittorio Mascherpa.Il link verso il giornale è:

http://www.zeit.de/2013/26/interview-claudio-abbado-80-geburtstag

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Il flusso del tutto

Zeit   Maestro Abbado, i grandi direttori d’orchestra diventano spesso molto vecchi…

C.A.  Userei solo in casi eccezionali l’aggettivo “grande” per i direttori d’orchestra, forse per Wilhelm Furtwängler o per Arturo Toscanini. Li ammiro molto entrambi, ma grandi sono innanzitutto i compositori.

Zeit   Ripeto: i direttori d’orchestra diventano spesso molto vecchi. Ora Lei festeggia il suo ottantesimo compleanno e lavora ancora molto. Che cos’è la musica per Lei?

C.A.  Per me la musica non ha nulla a che fare con il lavoro. È una grande, profonda passione. Ho la fortuna di poter condividere questa passione con musicisti da favola, in tutto il mondo. Questo in senso veramente esistenziale: la persona umana è importante. Il fare musica in comune: da questo prendo forza.

Zeit   Quando ha percepito questo la prima volta?

C.A.  Nella mia infanzia ci fu un’esperienza chiave. Avevo sette anni e sentii alla Scala di Milano, per la prima volta in vita mia, i Nocturnes di Debussy. Dirigeva Antonio Guarnieri. Nel secondo notturno, Fêtes, c’è un punto in cui all’improvviso risuonano da lontano le tre trombe. Questo momento mi stregò immediatamente. Da allora seppi: prima o poi devo farlo anch’io.

Zeit   Volle essere l’uomo in frac con la bacchetta in mano, a cui tutti guardano?

C.A.  No! Le giuro che non pensai proprio di diventare direttore d’orchestra! Il mio bruciante desiderio fu molto di piú: creare questa magia, allora e sempre. Suonai il pianoforte, poi studiai composizione e, naturalmente, direzione d’orchestra. Ma fu sempre quella l’idea che mi diede le ali. E molto piú tardi nella vita s’è ripetuta identica la situazione con mio figlio Daniele…

Zeit   …che oggi è regista di prosa e d’opera…

C.A.  Ero con lui a un concerto e sentii questa misteriosa marcia di Fêtes – e anche lui ne fu conquistato come me un tempo. La musica di Debussy è come un impegno, un’enorme promessa.

Zeit   E Debussy mantenne quel che aveva promesso?

C.A.  Sí, infatti ricerco ancor oggi in fondo quella magia. Talvolta la trovo e sono felice, talvolta no. Ma non smetterò mai d’aspirarvi.

Zeit   Lei è cresciuto in una famiglia musicale: Suo padre insegnava Violino al Conservatorio di Milano, le prime lezioni di piano le ha avute da Sua mamma, in casa si faceva molta musica da camera. Ci fu mai una possibilità che non divenisse musicista?

C.A.  Si, naturalmente! E proprio perché la musica ebbe per me, sin dall’inizio, un significato non soltanto estetico, ma etico, umano, sociale. Mia mamma Maria Carmela non era solo pianista, ma anche scrittrice. La figura piú importante della mia fanciullezza fu però in primo luogo mio nonno. Insegnava all’Università di Palermo ccienza dell’antichità e quasi ogni anno imparava una nuova lingua, o cosí almeno sembrava a me. Era una persona fantastica. Ad esempio, tradusse il Vangelo dall’aramaico e facendo questo non tacque il passo in cui si parla dei fratelli di Gesú. Quindi la Chiesa lo scomunicò. Credo che ne fosse un pochino orgoglioso. Mi ricordo di lunghe passeggiate in montagna con lui, durante le quali imparai tante cose, cosí tante da non credersi — per la vita, come bene si dice.

Zeit   Come s’impara qualcosa per la vita?

C.A.  Dal comportamento che ci viene mostrato, anche se da bambini non si capisce mica molto. Solo molto piú tardi mi si scoprí la bellezza e la profondità dei pensieri che aveva mio nonno. Per esempio diceva spesso: «La generosità rende ricchi».

Zeit   Ma questo vale anche per l’arte? Può un direttore d’orchestra essere generoso e insieme sapere esattamente che cosa vuole dal punto di vista artistico?

C.A.  Che cos’è la volontà? La magia d’un attimo musicalmente vitale non si può ottenere per forza da ordini del direttore. La si realizza, o appunto non la si realizza. È qualcosa di totalmente delicato, fragile. Per questo il direttore deve per prima cosa creare un’atmosfera di sincerità, una fiducia reciproca. In questo consiste il suo lavoro di guida. E si deve imparare, ascoltarsi l’un l’altro. L’ascolto è importante cosí nella vita come nella musica. Una capacità che scompare sempre di piú.

Zeit   Può la musica mostrarci come ascoltarci meglio l’un l’altro?

C.A.  La musica ci mostra che l’ascolto è fondamentalmente piú importante del dire. Questo vale sia per il pubblico, sia per i musicisti che stanno eseguendo. Si deve esattamente origliare dentro la musica per capire come la si deve suonare. Questo suona ora come un cliché, ma cerco sempre di studiare una partitura come se fosse la prima volta, non importa se ho già diretto spesso il pezzo. In altro modo sarebbe troppo semplice, e per di piú anche noioso. Inoltre, ripercorro sempre le partiture durante le mie passeggiate in mezzo alla natura.

Zeit   Lei va a fare passeggiate avendo in testa partiture gigantesche come laPrima di Bruckner o la Sesta di Mahler e le sfoglia pagina per pagina davanti all’occhio e all’orecchio interno?

C.A.  Non è esattamente cosí, ma vado molto spesso a passeggiare, preferibilmente con amici stretti. E mentre camminiamo mi risuona dentro la musica della quale mi sto allora occupando. Sempre e sempre di nuovo, poiché la musica grande è inesauribile. Nella musica, come nella vita, non ci sono confini. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Pierre Boulez è uno che capisce questo molto bene. Quando c’incontriamo, parliamo di cose musicali in un modo molto particolare, come posso dire, con profondità; e parliamo della fortuna del fare musica. Forse solo due direttori d’orchestra possono parlare tra di loro cosí, non lo so. Oppure possono farlo solo Claudio Abbado e Pierre Boulez. In ogni caso è qualcosa di prezioso.

Zeit   Che l’ascoltare sia piú importante del dire: è questo anche la spiegazione del perché Lei parli cosí poco durante le prove? Ebbene, questo Le ha creato la fama d’una sfinge.

C.A.  È vero che durante le prove sono piuttosto avaro di parole. Naturalmente cerco di mettere in ordine i singoli passi cosí come li ho imparati dalla partitura. Faccio anche suonare spesso le singole sezioni separatamente, non perché abbiano bisogno di correzioni, ma per le altre sezioni. Perché cosí sentano che cosa, ad esempio, suonano esattamente i legni a un certo punto. Ma poi arriva il grande arco, il flusso del tutto — e questa è la cosa piú importante.

Zeit   Come nasce questo flusso?

C.A.  Dal coraggio di non volere nulla. Dalla convinzione che la musica è veritiera o può esserlo. Quando preparo un’opera, ne sono completamente innamorato. Non so dirlo in nessun altro modo. Forse quest’enfasi, quest’intimità si trasmette all’orchestra e dopo un po’ s’innamorano anche loro. In qualche modo deve essere qualcosa di simile.

Zeit   Lei ha avuto la direzione della Scala di Milano, della London Symphony Orchestra, della Staatsoper di Vienna e dei Berliner Philharmoniker. L’elenco delle orchestre che Lei ha personalmente fondato è ancora piú lungo: la European Youth Orchestra, la European Chamber Orchestra, l’Orchestra Filarmonica della Scala, la Gustav Mahler Jugendorchester, la Mahler Chamber Orchestra, la Sua orchestra d’élite per il Lucerne Festival, e ultima nata l’Orchestra Mozart di Bologna. Vuol dire che Lei ha sfiducia nelle istituzioni musicali, oggi piú di prima?

C.A.  Non direi la cosa in questo modo. Si tratta di consapevolezza musicale, di continuità, di fiducia reciproca, Inoltre, m’ha sempre molto interessato il lavoro con i musicisti giovani. Molto spesso hanno un atteggiamento diverso, sono ancora del tutto liberi davanti alla musica. Questo è per me fonte d’ispirazione, non è dunque solo questione d’altruismo. Inoltre non è nemmeno del tutto esatto parlare di molte orchestre diverse, infatti le sovrapposizioni sono almeno in parte molto grandi. La distribuzione delle parti cambia solo secondo il repertorio. Non esiste da una parte un’orchestra “giovanile” e dall’altra una di “élite”. Siamo molto di piú una grande famiglia, nella quale ci s’aiuta a vicenda. Ma oggi per tutto si pretende l’etichetta adatta. Questo non m’interessa.

Zeit   Il lavoro con le giovani leve è per Lei oggi quel che una volta era il lavoro politico? Negli anni Sessanta e Settanta Lei s’è presentato nelle fabbriche insieme ai Suoi amici Luigi Nono e Maurizio Pollini.

C.A.  Alla fin fine, le cose umane sono sempre quelle che contano. Allora volevamo anche fare qualcosa per la diffusione della nuova musica, che in Italia urtava ancora contro una pesante resistenza, questo non va dimenticato. Non eravamo “solo” politici. Per questo fondammo anche una stagione di concerti “musica nel nostro tempo” e tenemmo a Reggio Emilia “laboratori” chiamati musica / realtà

Zeit   …nei quali Pollini protestò dal palcoscenico contro la guerra nel Vietnam e Nono filosofeggiava di sintesi tra avanguardia e classe lavoratrice. Nono scrisse allora in un telegramma: «Vorrei essere insieme a voi nella cara Mosca». Come Le sembra oggi tutto questo?

C.A.  Qualcosa di strano, detto chiaro. Non si devono idealizzare le vecchie cose. Guardo piú volentieri avanti che indietro. E il bello è ciò che oltrepassa tutto, L’Orchestra Mozart svolge ora a Bologna un progetto di musicoterapia,Tamino, in cui i musicisti vanno gratuitamente nei giardini d’infanzia e negli istituti per handicappati. In un altro progetto, Papageno, suoniamo nelle carceri. S’immagini che alcuni mesi dopo uno di questi concerti i carcerati m’hanno fatto un regalo: una nave fatta solo di fiammiferi, ma incredibilmente perfetta. Che regalo meraviglioso! Ora hanno persino fondato un coro in carcere. Questo significa che la musica ha realmente cambiato qualcosa per questi uomini nella loro terribile situazione. E i nostri piani per il Centro culturale a Bologna vanno anche oltre.

Zeit   Questo, però, non sembra proprio solo sociale. L’architetto Renzo Piano ha l’incarico di realizzare una sala da concerto, un museo, una filmoteca…

C.A. Perché la buona architettura non dovrebbe essere sociale? Sorgeranno anche una floricoltura e una scuola d’arboricoltura, dove i bambini potranno studiare le piante. Il rapporto dell’uomo con la natura è veramente un problema enorme, forse il nostro piú grande. Già da anni ho riflettuto come si potrebbero, ad esempio, impedire le grandi alluvioni che ci sono sempre in Italia. Per questo, la Svizzera segue un concetto bellissimo: si costruiscono grandi bacini e una diga, e quando l’acqua precipita da 3000 metri se ne ricava energia idroelettrica. Favoloso.

Zeit   Il Suo amore per la natura è proverbiale. Per il Suo ritorno alla Scala dopo 17 anni, Lei ha chiesto come onorario che la città di Milano piantasse 90 mila alberi, per migliorare l’aria. All’inizio Le fu data assicurazione, ma poi non è successo molto.

C.A.  Però, però… Hanno già cominciato a piantare gli alberi, ma in periferia e solo ora stanno continuando in direzione del centro. È anche giusto che non si piantino gli alberi nelle grandi strade dove c’è architettura importante.

Zeit   Se lei oggi avesse 20 anni, ci sarebbe per Lei qualcosa di piú urgente della musica?

C.A.  Credo che nella mia vita ci siano molte cose molto importanti: le relazioni con i miei figli, i miei nipoti e gli amici. Tra l’importante c’è anche la musica, ma ho anche un grande amore per la letteratura, la pittura, per tutte le arti. Senza di esse non potrei vivere.

Zeit   Che cosa pensa della vecchiaia? Il Suo ottantesimo compleanno è per Lei un’occasione di cambiare la Sua vita?

C.A.  Vede, l’inverno scorso è morta mia sorella Luciana. Aveva fatto moltissimo per la “nuova musica”. Nel giro di tre anni sono morti prima il mio fratello minore, poi lei. Io credo che devo un pochino stare attento.

Intervista condotta da Julia Spinola e pubblicata sul sito della «Zeit» il 25 giugno 2013. Traduzione dal tedesco di Vittorio Mascherpa.